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Karl Popper e la Mente Estesa

 

 

Nato a Vienna nel 1902, Popper è stato un filosofo ed epistemologo austriaco che ha portato teorie innovative per quanto riguarda la concezione della politica, della scienza e sulla conoscenza.

 

Nuova concezione della scienza:

Molto importante è il nuovo approccio con le ultime due. Infatti, Popper, propone in primis un nuovo criterio di demarcazione tra scienza e non scienza rispetto a quello che fino ad allora era stato fondato sul principio di verificabilità, ovvero una dimostrazione della teoria basata su dati empiricamente riscontrabili, opponendogli uno che vede nella falsificabilità di una teoria la sua scientificità. Una vera teoria scientifica dovrebbe, infatti, tener conto di tutti i casi possibili, cosa irrealizzabile mediante una verifica basata sull'esperienza, in quanto l'induzione non è in grado di produrre una legge certa ma solo un'affermazione probabile. Per il principio di falsificabilità, al contrario, una teoria risulta scientifica qualora sia possibile una smentita della stessa attraverso l'esperienza, conducendo quindi epistemologicamente ad una concezione fallabilistica della scienza, in cui ogni scienziato è tenuto a specificare in quali casi la loro teoria crollerebbe. Ogni qualvolta la teoria venga messa sotto controllo e finisse per essere smentita, essa potrebbe essere rifiutata, che comporta un rigetto generale della teoria, o corretta per risultare più affine alla realtà. Se invece dovesse superare il test questa risulterebbe corroborata, ma non per questo veritiera o non smentibile da un futuro controllo. In questo asimmetria tra verificabilità e falsificabilità, in cui più casi non confermano la teoria ma basta uno sfavorevole per smentirla, si colloca la concezione popperiana della scienza come mondo delle ipotesi non-falsificate che possono essere corroborate. Il fatto, come spiegato in precedenza, che un'ipotesi venga corroborata non dice che essa non sopravviverà a controlli futuri, per questo la corroborazione non si pone come indice di verità, ma come momentaneo criterio di preferenza tra ipotesi rivali. Per via di ciò non esiste metodo che permetta la scoperta di teorie scientifiche, ma esiste un metodo che le controlli secondo un procedimento che va dai problemi, alle ipotesi, alle prove. Le teorie scientifiche, scaturendo da sorgenti diverse ed essendo esito di congetture ed intuizioni, vanno a far perdere alla scienza la sua storica concezione di epistéme, ovvero un sistema infallibile di verità, ma la "retrocedono" ad una doxa. Fare scienza, per Popper, significa infatti commettere errori, che altro non sono che momenti strutturali di essa. Il metodo di apprendere dell'uomo è stato infatti sempre frutto di un metodo ipotetico-deduttivo e non induttivo, per cui un'ipotesi rivelatasi falsa viene costantemente riformulata finchè non regga alle prove a cui è sottoposta. Il problema dietro alla conoscenza risulta così riassumibile nei seguenti punti:

  • Sapere come qualcosa di problematico ed incerto
  • Scienza caratterizzata dalla sua fallabilità e autocorreggibilità
  • Ricerca del sapere da parte dell'uomo asintoticamente diretta verso di esso

Lo scopo della scienza quindi non risulterà più essere la verità in quanto tale, ma il raggiungimento di teorie quanto più verosimili ad essa.

 

Problema della conoscenza e la mente come faro:

Nella sua critica all'induzione, Popper arriva a sostenere che essa non sussiste come procedimento di giustificazionne delle teorie in quanto osservazioni singolari, per quanto numerose, non possono produrre teorie universali proprio perchè circostanziali. Continuando, egli sostiene che le teorie non sono quindi ricavate da un processo che va dai fatti alle teorie, ma sono ricavate mediante un procedimento che dalle teorie passa ad un controllo attraverso i fatti, stabilendo quindi come punto di partenza della ricerca scientifica delle congetture da cui verranno deduttivamente ricavate conclusioni sottoposte al responso dell'esperienza. Per questo, ad un rifiuto dell'induzione si accompagna un rifiuto all'osservazionismo poichè la mente, secondo il filosofo viennese, non è da considerarsi come un "recipiente vuoto" ma come un faro, ovvero un deposito di ipotesi consce o inconsce con cui percepiamo la realtà. Il modello di uomo già impregnato di teoria è infatti parallela ad una critica dell'osservazione in quanto necessariamente presupponente una conoscenza preliminare che ci possa permettere di capire perchè le cose siano disposte in un determinato modo, affinchè le sensazioni momentanee abbiano significato alcuno. Proprio perchè la capacità di apprendere è basata su una conoscenza innata di come apprendere, l'osservazione libera da ipotesi non esiste. La percezione è infatti un'ipotesi, e le ipotesi richiedono aspettative, l'idea di partirei da osservazioni per arrivare alle leggi risulta quindi errata. La conoscenza consiste nel concepire delle ipotesi su cui lavorare finchè non crollano al fine di confutarle. Teorie che non siano sottoponibili a riscontri sperimentali possono comunque avere, in alcuni casi, valore scientifico, mentre quelle che crollano vengono abbandonate, rendendo così quelle che "sopravvivono" accrescitrici della conoscenza.

 

 

Dottrina della mente estesa:

Nell'ambito della mente come faro si viene a collocare la dottrina della "mente estesa" del nostro filosofo.

La dottrina della mente estesa è così definita poichè estende le capacità della mente a quelli che sono gli oggetti costruiti mediante quella che da Bergson è definita "intelligenza". In poche parole i sostenitori di questa dottrina estendono le capacità cerebrali dal loro confinamento all'essere le sole attività che avvengono all'interno della scatola cranica ad i supporti materiali o socio-culturali (fondamentale esempio ne è il linguaggio) senza le quali attività che, se non addirittura impossibili per via della limitatezza della capacità rappresentativa della mente, avrebbero richiesto tempi assai più lunghi e non più consoni ad una società che fa dell'innovazione un suo caposaldo, anche a costo dell'eccesso di prometeismo criticato da Jonas. Perchè un qualcosa possa essere definito estensione della mente umana, deve però soddisfarre alcuni parametri:

  • Deve essere sempre disponibile ed usato regolarmente
  • Le informazioni in esso contenute devono essere facilmente accessibili
  • L'informazione contenuta deve essere accettata come valida in modo automatico

L'organismo si trova ad essere connesso ad un'entità esterna in maniera così stretta da generare un unico sistema le cui parti concorrono al risultato finale. Qualora una di queste venisse rimossa verrebbero compromesse le capacità operazionali del sistema nel complesso, come se mancasse una parte del cervello, in quanto ciò di cui si è fatta esperienza è una co-evoluzione come influsso bidirezionale nello sviluppo di nuove capacità, mediate un processo che va dalla mente alle "protesi della mente" e viceversa al contempo. Nonostante traslare le capacità percettive o motorie ad oggetti esterni sia alquanto dubbio, il fascino di questa dottrina risiede nel suo fornire quella che sembra essere una risposta al problema naturalistico dell'impossibilità di qualcosa di inanimato di poter passare attraverso consecutivi stadi di complessità, rendendo i precedenti basi per il loro progresso. Chiamando in causa la società e la cultura come sostegni insostituibili per lo sviluppo di nuove capacità cognitive, sembra infatti venir meno il rigido determinismo che lega la mente ai processi nervosi del cervello. La società e la cultura mostrano una tendenza evolutiva, proprio come la mente. Così che un loro intreccio, per molti versi indistricabile, tende a presentarsi come una spiegazione accettabile del relativo affrancamento della mente dalle comuni leggi fisiche.

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